lunedì 1 febbraio 2010

Three R&B shots.



Per chi ama l'R&B, questo è stato un inverno ricco di importanti uscite discografiche, soprattutto da parte di coloro che vengono unanimamente riconosciuti come i mostri sacri del genere. L'inverno peraltro non è ancora terminato, quindi dopo il grande ritorno di Whitney Houston e prima che giunga il nuovo uragano Mary J. Blige, soffermiamoci sui tre nuovi dischi di Mariah Carey, R. Kelly e Alicia Keys.

01. Mariah Carey: "Memoirs of an imperfect angel"
(Island/Def Jam/Universal).

Cominciamo dall'ex signora Mottola, che - proprio come la Houston - è stata una delle più grandi dive degli anni '90 (con più di centosattantacinque milioni di copie vendute nel mondo, avete idea di che cifra siano?) poi sprofondata in crisi, depressioni, separazioni ed esaurimenti nervosi al limite della schizofrenia, poi rinata ad una seconda giovinezza artistica che ce l'ha riportata in buona forma da "The emancipation of Mimi" (2005) in poi, nonostante oggi rischi comunque di sembrare la parodia di se stessa, soprattutto in termini di look (cioè NON di voce, che ancora c'è) in questa sua ossessiva ostentazione di una perfezione fisica assolutamente posticcia che sembra un tentativo decisamente disperato di avere ancora vent'anni.
Ma veniamo ai pezzi. Il primo singolo dell'album - "Obsessed" (che nel CD è presente con ben quattro dicasi quattro inutili remix!) - una sorta di dissing come si usa nel rap, sembrava rivolto contro un certo Eminem. Poi saltò fuori che non si parlava di lui, che era tutta una specie di montatura, una grande mossa pubblicitaria per attirare l'attenzione dei media sull'uscita del disco. Promozione che, visti i risultati delle classifiche americane, ha funzionato perfettamente (a dimostrazione del fatto che la Carey del tutto scema ancora non lo è!). Dopodichè è seguita la struggente cover, molto ben riarrangiata, di "I want to know what love is" dei Foreign, che ha goduto di un ottimo airplay anche in Italia (probabilmente proprio grazie alla sua esibizione ad "X-Factor"). Non ha invece beneficiato della stessa sorte il terzo singolo - "H.A.T.E. U" - che in pratica è stato totalmente IGNORATO dalle nostre emittenti radiofoniche. E comincia solo adesso a girare una versione differente di "Up out my face" con il feat. di Nicki Minaj, che non è propriamente il quarto singolo del disco quanto piuttosto il primo dell'imminente album di remixes, cioè "Angels Advocate" annunciato per marzo 2010 (ma ce n'era davvero bisogno?).
Che altro dire di questo dodicesimo album in studio di Mariah? In linea di massima l'ascolto è piacevole, e d'accordo suonano bene "Betcha gon' know" (il prologo), "H.A.T.E. U", "Angel cry" e "Standing O" (tra tutte, forse la migliore) ma non bastano nemmeno le firme di Terius "The Dream" Nash, di Christopher "Tricky" Stewart, di Cindy Lauper (!) o della buon'anima di Barry White (?) a far decollare il tutto. Le produzioni musicali sono pressochè PERFETTE, i volumi e il sound dell'intero lavoro sono IMPECCABILI, ma il risultato finale - comprese le interpretazioni vocali della nostra ex diva - è asettico, una somma artificiosamente patinata, che sembra di plastica! Si, "di plastica" come la sua interprete, le cui apparizioni live o da ospite in qualche talk show non coincidono con la forma che mostra nei suoi videoclip; roba che oramai - quasi quarantenne - potrebbe davvero permettersi di fregasene, tenendo conto del talento vocale di cui la natura le ha fatto dono. E invece c'è qualcosa di fondo che tradisce un evidente complesso, come nelle copertine e negli elaboratissimi booklet dei suoi CD, dove l'uso di Photoshop è talmente evidente (ed eccessivo) da risultare non solo ridicolo, ma imbarazzante. Con il risultato (e quasi mi dispiace dirlo) di renderla veramente PATETICA.

02. R. Kelly: "Untitled"
(Jive Records/Sony Music)

Se mi sono lasciato sfuggire un "piacevole" per il disco di Mimi, per il nuovo album di R. Kelly - ahimè - non posso che dire DELUDENTE. Questo non significa che l'album della Carey sia in qualche modo superiore a quello del nostro caro crooner di Chicago, sia chiaro; oggettivamente parlando, R. Kelly la batte su tutta la linea, ma quante più sono alte le aspettative di chi ama un artista, tanto più è grande la delusione per qualcosa che sa realmente di cialtronata!
"Untitled" è dunque il nono album del riconosciuto King of R&B (escludendo il primo con i Public Announcement e i due realizzati in coppia con Jay-Z) che evidentemente - dopo anni di performances ai massimi livelli - ha dato tutto ciò che poteva dare, ha esaurito la sua vena. Credo che per ogni artista vivente esista una sorta di parabola creativa dalla quale, una volta raggiunto l'apice, si può solo cominciare a scendere - inesorabilmente - la crina. In effetti già dallo scorso "Double up" del 2007 scrivevo: "il suo nuovo album è ben lontano dai suoi capolavori (“12 Play” del 1993 e “R” del ‘98) così come dalla svolta squisitamente soul di “Happy People” del 2004. È un buon prodotto R&B, d’accordo, ma niente di fondamentale, niente che aggiunga qualcosa di nuovo al suo valido percorso artistico". Idem questa volta, tre anni dopo. Nessuna vera innovazione, nessun "guizzo" di vera originalità come poteva essere la sola "Trapped in the closet" all'interno di "TP.3 Reloaded" (2005). Sembra davvero finita la sua era. Forse potrà smentirmi/stupirmi con il prossimo disco. Ma certamente NON con questo. Insomma: se è davvero questa la direzione che sta prendendo, allora da oggi in poi preferirei vederlo solo in veste di autore/produttore per altri, utilizzando a pieno quell'intuito musicale che ebbe in passato nello scoprire dei talenti puri come Aaliyah o Sparkle.
Ad ogni modo, parliamo un po' di questo "Untitled": quindici tracce che spaziano dal dancefloor al down-tempo, un'autocelebrazione che non necessita nemmeno di troppi ospiti, se escludiamo R. City nella rumorosa "Crazy Night", O.J. Da Juiceman nell'ipnotica "Supaman High" e Tyrese (assai bravo), Robin Thicke e The Dream (guarda un po', uno dei produttori della Carey) in "Pregnant", che - oltre a chiudere il disco - è anche uno dei suoi brani migliori. Se dovessi davvero salvare qualche pezzo, salverei le ballate come "Exit", "Echo" e "Text me", o un ultimo barlume dei vecchi fasti come "Religious"; per contro, mi chiedo come un musicista che per così tanti anni ha dimostrato tanta capacità e gusto, possa poi comporre vere e proprie CAFONATE danzereccie (di basso livello) come "I love the DJ" o "Be my #2"!
L'omologazione del peggior R&B possibile si palesa proprio in quello che dovrebbe essere il brano di punta dell'intero album, cioè "Number One" cantata insieme alla brava Keri Hilson, ma che - nella sua ovvietà - sarebbe addirittura possibile SOVRAPPORRE a "Ribbon" di Mariah Carey (la quinta traccia di "Momoirs") facendole girare insieme sui due piatti, in termini ritmici e sonori, nell'idea compositiva/produttiva di base. Mah.
Della serie: provaci ancora, Robert.
C'erano sicuramente più dedizione e più convinzione in "I believe", il pezzo dedicato alla vittoria di Barack Obama.

03. Alicia Keys: "The element of Freedom"
(Jive Records/Sony Music).

Discorso ben diverso, infine, per Alicia Keys.
Giunta al suo quarto album, le sue skills sono tutt'altro che esaurite.
Dopo aver scritto la più bella canzone dell'ultimo album di Whitney Houston, dopo aver duettato con Jay-Z nella potentissima "Empire state of mind" (tuttora passata molto per radio) è nuovamente il suo momento: "The element of Freedom" esce in doppia versione CD o CD+Dvd in tutti i negozi del mondo, per riportarci il talento vocale e compositivo di Alicia in tutto il suo splendore! L'intero album è semplicemente bello da ascoltare, dalla prima all'ultima traccia (cioè la quattordicesima, che poi non è altro che una nuova versione di "Empire state of mind" senza Jay-Z, eseguita quasi interamente al pianoforte, se possibile ancora più emozionante). Ma ripartiamo dal primo brano, con una brevissima premessa: in tutto il nuovo lavoro della Keys aleggia un sound molto anni '80, qualcosa che lo permea nelle batterie, nei sintetizzatori, nelle chitarre lontane (alla Phil Collins, per dire, proprio come "In the air tonight" stava al "Miami Vice" televisivo), che non posso immaginare casuale o involontario; unito alla matrice soul/R&B caratteristica dell'artista newyorchese, ne scaturisce qualcosa di davvero originale e funzionale.
Dopo "Element of Freedom" che funge da INTRO, con "Love is blind" Alicia ci proietta immediatamente nel suo mood, fatto di cuore e sangue, fatto di strada e asfalto. A seguire, lo straordinario primo singolo - "Doesn't mean anything" - una ballata "in crescendo" che gira interamente sull'armonia portante del piano. La quarta traccia è "Try sleeping with a broken heart", che trovo una delle più belle dell'album, che nel cantato delle strofe (non del refrain) ha un che di Prince, lo suggerisce a livello evocativo. Così come la seguente "Wait til you see my smile", che - nelle tastiere, nelle batterie e nei controcanti - riporta alla mente lo stile delle Wilson Phillips (ricordate "Hold on"?). Ancora atmosfere struggenti e pulsanti con "That's how strong my love is" e "Un-thinkable", fino alla più reggaeggiante "Love is a disease". Divertente poi il duetto con Beyoncè nella scatenata "Put it in a love song", quasi a restituire il favore al marito della Sig.ra Knowles-Carter. Per non star qui a citarle tutte (che comunque lo meriterebbero) ancora grandi emozioni in "Distance and time", una canzone d'amore assoluta dedicata a tutti coloro che la vita costringe a separazioni nei luoghi e nei tempi.
Con "The element of Freedom" Alicia Keys si conferma nuovamente come una delle più grandi artiste della black music contemporanea, capace di toccare l'anima e mettere d'accordo sia gli estimatori del soul più tradizionale che i fruitori dell'R&B più moderno/commerciale. Da fuoriclasse quale è, non si limita alla semplice interpretazione: Alicia scrive, produce e suona le sue canzoni (in questo disco, insieme a Jeff Robinson, Peter Edge e Kerry "Krucial" Brothers), e se mai dovesse capitarvi di vederla suonare dal vivo seduta davanti al suo pianoforte - così come è capitato a me nel 2005 - allora probabilmente capirete a pieno, solo in quel momento, la vera essenza della sua cifra stilistica. Da brivido.

• Mariah Carey, come gli accessori nello shopping = DECORATIVO
• R. Kelly, solo per gli estimatori incalliti = COLLEZIONISTICO
• Alicia Keys, assolutamente da non perdere = IRRINUNCIABILE

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