mercoledì 11 gennaio 2012

Stalag III



Nel frattempo lo Stalag è ancora lì.
Immobile nello spazio e nel tempo. Cemento armato tronfio della sua stessa immobilità, come fosse sinonimo di stabilità. Mentre crepe insidiose - al pari di qualunque altra simile realtà - stanno minando silenziosamente le sue fondamenta.

Immobile, lo Stalag, come le anime che si trascinano nei suoi lunghi corridoi, nelle sue stanze buie. Individualità oramai svuotate, annichilite, piegate alla resa. Rassegnate agli umori dei loro carcerieri, come se quella stessa rassegnazione - che per giustificarsi considerano ineluttabile - non fosse semplicemente altro che una loro scelta.

Immobile, lo Stalag, come il cuore nero di chi dirige il suo forno, di chi alimenta giorno dopo giorno il fumo denso delle sue ciminiere. Un orgoglio giudeo - tanto presuntuoso quanto arido - che sembra così facilmente aver dimenticato la propria Storia, che nella sua stessa avidità non ricorda più nemmeno la Shoah, quando un carceriere era il Nemico. Di cui però ora emula i metodi.

Ma i combattenti più puri - quelli che ambiscono ben altri campi di battaglia, quelli che credono ancora che la libertà valga molto più di trenta monete - se ne sono andati uno ad uno. Sono fuggiti via da quel luogo, hanno abbandonato le sue mure grigie.
Ne rimane soltanto uno da salvare.
Come Fratelli nella notte, un'alba gloriosa attenderà anche lui.

Tutti gli altri, invece, meritano di marcire lì dentro.

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