mercoledì 20 novembre 2013

A volte tornano...

Quando birra artigianale + amici + allegria = solidarietà :)


Giovedi 28 Novembre 2013
dalle ore 19:00 in poi...
«Blind Pig feat. Emergency»

Blind Pig
Birreria Artigianale a Roma
Via Gino Capponi, 45
tel. 06.78345642

mercoledì 23 ottobre 2013

Kento: conto alla rovescia.

Ci sono Ice One e il Danno, due dei migliori di sempre.
Ci sono gli STRUMENTI della Bud Spencer Blus Explosion.
C'è pure Paolo Pietrangeli, accidenti: «Compagni, dai campi e dalle officine / prendete la falce, portate il martello / scendete giù in piazza, picchiate con quello /scendete giù in piazza, affossate il sistema»

Che dire? BOMBA in arrivo!!!

Tanti ospiti e sonorità legate al blues, ma anche alla musica afroamericana più recente: queste le caratteristiche principali del nuovo disco di Kento, rapper reggino già nel collettivo Kalafro e qui alla sua seconda prova come solista. Consolidato il rapporto con la storica label bolognese Relief Records Eu, l'album vedrà la luce ad inizio 2014 ed è stato interamente suonato dalla superband Voodoo Brothers (che annovera componenti da Bud Spencer Blues Explosion, Dead Shrimp, Honeybirds & The Birdies, The Cyborgs e Torpedo Sound Machine). Ancora non è stato annunciato quale singolo e video anticiperanno la release, ma la tracklist (ancora provvisoria) è quella che segue:

01. Intro (Voodoo Decaf)
02. Musica Rivoluzione
03. Mp38 feat. Ensi
04. Quando sei distratta
05. Voodoo feat. Ice One e Havoc
06. Peppino e il mulo feat. Giovanni Impastato
07. RC Confidential
08. Roots music feat. Lion D
09. Ghost dog - Cane fantasma feat. Ice One e Danno
10. Il blues del bar
11. Nella giusta direzione (Il viaggio)
12. La poesia nostra feat. Lello Voce
13. Dear brother 14.
Bonus track: Hazet 36 feat. Paolo Pietrangeli

giovedì 26 settembre 2013

Il senso della propria vita.


Parliamo di Bill Watterson, mica uno qualunque.
Quello di Calvin & Hobbes, tanto per dire.
L'ho tradotta e adattata in modo libero.
Ma letterata in modo professionale.

Perché - lo dicevo anche altrove - è tutta la vita che cerco di scrivere/descrive anche io IL SENSO PROFONDO di questa striscia, anche agli amici, anche a quelli più cari (soprattutto a loro, perché dei colleghi e dei conoscenti non me ne frega praticamente una cippa); che spesso, anzi quasi sempre, pur volendomi bene non capiscono certe mie scelte.
E pur essendo io stesso "un autore di fumetti" (qui mi perdoni Watterson) non avevo mai pensato di poterlo esprimere attraverso le vignette!

Ringrazio di cuore Francesco per avermela fatta scoprire :)

venerdì 13 settembre 2013

La Costruzione di un Evento • Pt.2

#webcon2013


La Costruzione di un Evento implica tre fattori necessari.
Il primo dei quali è la pazienza. Tanta pazienza.

Poi bisogna avere anche pazienza. Tanta pazienza.

Infine c'è la pazienza. Tanta pazienza.

Che dite?
Che ho detto per tre volte la stessa cosa?
Beh, pazienza!!!

martedì 16 luglio 2013

Pacific Rim spacca!!!

O anche: come non perdere nemmeno il tempo (e la fatica) di scriverci un intero post ma "ripagare" comunque la cortesia dell'invito all'anteprima stampa facendo social marketing in otto righeChe ora spammo pure su Facebook e Twitter ;)


Questa NON è una recensione, piuttosto un consiglio spassionato: FATEVI UN FAVORE e andate a vedervelo al cinema, perché Guillermo Del Toro ha realizzato un film visivamente S.T.R.A.O.R.D.I.N.A.R.I.O, che davvero non si era MAI vista una roba così su grande schermo!!!
Non aspettate che lo trasmettano su Sky o il rilascio in Dvd e Blue-Ray. Non scaricatelo.
E' nelle sale dall'undici luglio: andate al cinema!!!

venerdì 14 giugno 2013

La Costruzione di un Evento.

#webcon2013

La Costruzione di un Evento avviene - e sta avvenendo - nella più ferrea autodisciplina.
Ci sono altri fattori come passione e competenze, d'accordo.
Ma ciò che sto esercitando più di ogni altra cosa da cinque mesi a questa parte è la disciplina.
Che se applicata, significa: Non perdere MAI la calma, anche quando inevitabilmente qualcuno farà di tutto per fartela perdere. / Non mettere MAI il tuo ego prima del tuo progetto. / Usa sempre la testa, si, ma lasciati guidare anche dalla pancia e dal cuore.

Facciamo un passo indietro.

Immaginate una stanza vuota.
Che voi dovete prima arredare, poi riempire - di avvenimenti, persone, colori e interessi - e fare in modo che si illumini. E che poi si autoalimenti di questa illuminazione. Dovete farlo da soli. O quantomeno partire da soli, il Giorno Uno. Senza capitali. Senza Gruppi di alcuna natura alle vostre spalle, che vi copra queste spalle. Senza le risorse e il supporto di strutture già avviate, holdings, colossi editoriali, investitori o brand di punta sul mercato.
Siete soltanto voi e la stanza.
E il vostro Giorno Uno.

Abbiamo un luogo, quindi.
Un luogo peraltro molto bello, che non è cosa da poco.
E una specie di appuntamento con il destino. Si, perché LO SENTI - dentro di te lo senti molto bene! - che la Costruzione di questo Evento rappresenta la summa di tutto ciò che hai seminato in vent'anni "di onesta professione" nel giornalismo, nel fumetto, nella grafica, nell'editoria, nella comunicazione: tutte le tue skills, tutto il tuo know-how, tutti i rapporti che hai costruito, tutte le connessioni che hai creato e sei riuscito a mantenere brillanti, tutta la credibilità che hai faticosamente consolidato, tutta la fatica che ti è costata (anche quando gli altri pensavano che tu non stessi davvero dicendo sul serio), tutti i "Si" e i "No" che hai avuto la capacità di concedere o negare nel tempo.
E' tutto qui.
E' tutto adesso.

Sotto una serie di hashtags #webcon2013 parleremo di questa Costruzione, sin dal Giorno Uno.
Cioè sin dal NIENTE assoluto.
Le idee seminali. Lo studio approfondito del segmento, dei suoi giocatori più accreditati e/o più originali, dei suoi protagonisti indiscussi. La creazione di un programma. L'individuazione dei content partner più idonei. Il dialogo personale con ognuno di essi, che va reinventato caso per caso, uno ad uno, senza mentire mai!
E ancora la definizione di una linea editoriale e dei contenuti, dell'immagine, dei possibili ospiti, dei possibili media partner, dei possibili Patrocini, dei possibili sponsor.
Anche di ogni possibile implicazione che rappresenta la presenza di ognuno di essi.
Senza dimenticarne una.
Un lavoro TITANICO, credetemi.

Quindi - prima di andare avanti - la domanda vorrei porla io.
Partendo SOLO da una stanza vuota... voi come avreste cominciato?

Official websites:
www.web-con.it

www.auditorium.it

venerdì 17 maggio 2013

Random Access Memories.

Oggi esce il nuovo album dei Daft Punk.
Quella che segue è la recensione di Giovanni "John" Carosi, scritta ieri. Che - con un certo orgoglio - (ri)pubblico sul mio blog.
Orgoglioso si per la recensione in quanto tale.
Ma soprattutto di lui, per come sta crescendo.




Daft Punk: "Random Access Memories"
Columbia Records, 2013.

Ho fatto un paio di errori, oggi: ho voluto ascoltarmi l'album prima che uscisse ufficialmente, tradendo il mio tradizionalismo. E prima di scrivere queste due righe, ho letto le critiche di alcune testate musicali. Ma poi, col passare delle ore, mi sono reso conto che questi mali non sono venuti per nuocere: ho avuto ventiquattro ore in più per gustarmi questo diamante e oltretutto la critica generale si è espressa esattamente come mi aspettavo, ovvero in maniera positiva ma distaccata.
Alcuni hanno centrato il nocciolo della questione, altri lo hanno aggirato, altri ancora si sono comportati come se avessero messo il CD, scritto il pezzo mentre erano a metà, e consegnato al capo entro la scadenza!

La spasmodica cura del suono, i continui tecnicismi, il contenuto, lo stile e la passione. Queste sono le caratteristiche che descrivono questo lavoro.
Con "Discovery" (2001) il duo francese ha cercato di valorizzare brani dance ormai caduti nel dimenticatoio, che non hanno sfondato o che semplicemente sono passati in secondo piano, compiendo un'opera che tuttora viene ricordata da qualsiasi essere vivente.
In "Human After All" (2005) hanno perfezionato la loro parte elettronica, hanno gettato le basi per i nuovi generi techno/house, spianandogli la strada.
In "Random Access Memories" hanno concluso questo iter. Completamente immersi nella dance, hanno dato nuovo nome alla musica elettronica. O meglio, glielo hanno restituito.
È facile mettere insieme tredici tracce dove i bassi la fanno da padrona: ci butti una melodia preimpostata, chiami un vocalist che dice due stronzate, le pitchi ed hai fatto il tuo lavoro. Se il tuo intento è quello di far ballare la gente, di spedire il tuo pezzo all'Amnesia o a qualche localetto sulla spiaggia. Se vuoi spaccare la cassa.

I Daft Punk, invece, hanno fatto capire come la cassa l'abbiano voluta riempire. Come abbiano pensato a tutte quelle persone che hanno comprato "Random Access Memories" non per ascoltare Skrillex, per sfondarsi di basse frequenze e di qualche remix randomico. Hanno pensato soprattutto a loro stessi, al LORO suono, alle LORO peculiarità, rendendole il tema principale di ogni brano.
I bassi sono rimpiazzati da batteria e basso in presa diretta, una chitarra IMMENSA di Nile Rodgers che accompagna tutto l'album in un viaggio anni '80. Sembra che il tutto sia completamente rivoluzionato e, invece, i brani suonano maledettamente familiari. Il tocco caratterizzante, dato dalle loro parti vocal e - a volte - da quelle delle collaborazioni, si conferma nell'uso del synth e del piano.
Un album dove puoi trovare un tappeto di violini o un solo di piano, come un pezzo dove il synth la fa da padrona su una base di basso e batteria che picchiano come pazzi.

La completezza, la ricerca della perfezione della LORO elettronica.
Una delle loro migliori espressioni di sé.
E tutto questo materiale, frutto di una lunga ricerca dell'equilibrio perfetto, è spaventosamente OTTIMO per un loro eventuale live.
Completamente soddisfatto del loro operato: 10/10

(Giovanni "John" Carosi, 16 maggio 2013).

sabato 9 marzo 2013

Dal ventre della balena?

Appunti di resistenza umana dall'interno di un seggio elettorale.


Quando nel 1999 gli Assalti Frontali prodotti da Ice One firmarono con la BMG per il loro terzo album - cioè "Banditi" - la cosa scatenò un vero putiferio tra puristi, detrattori, compagni, integralisti e fanbase. Com'era possibile che uno dei più validi modelli del movimento e dell'indipendenza potesse firmare per una major?
Ricordo che la risposta di Militant suonava più o meno così: "Combatteremo dal ventre della balena".
Come se si potesse realmente sovvertire un sistema sclerotizzato (in questo caso l'industria discografica) dal suo interno. Apprezzammo tutti le buone intenzioni, ma di fatto gli Assalti non cambiarono proprio un cazzo (e non è un caso se dall'album successivo - e per tutti gli altri - tornarono all'autoproduzione e/o alla scelta di etichette e distributori indipendenti).

Cosa voglio dire con questa premessa?
Che quando sono stato chiamato a sostituire una scrutinatrice per le elezioni politiche e regionali di due settimane fa, io che non ho MAI voluto fare cose di questo genere in vita mia (sapendo che invece c'è gente che fa la fila per poterci andare), mi ero dato questa chiave di lettura: combattere dal ventre della balena.
Quasi in senso giustificatorio.
Ma anche per me - a giochi fatti - non ha significato niente.
Credevo di poter capire le logiche di una elezione popolare (peraltro mai così importante) dal suo interno. Invece da lì dentro non si capisce proprio niente. E se non fosse stato per il tablet che avevo appresso (che forse nemmeno si potrebbe portare) e per quel minimo di connettività della scuola, saremmo stati tagliati fuori da tutto ciò che stava succedendo nel resto d'Italia.

• Tanto per dire - a proposito di tablet che non potrebbero accedere e di cose che probabilmente non si potrebbero pubblicare - il martedì sera io mi ero segnato a penna, sul tavolo, il risultato dei voti di Camera e Senato del nostro seggio: pur sapendo che un solo seggio non può far media nazionale, sono rimasto completamente BASITO dal successo del M5S, che lì da noi altro che il 25%… ha avuto praticamente il doppio dei voti del PD e del PDL!!!

Ora qualche malizioso potrebbe pensare che - vista la mia riluttanza - potevo pure rifiutare, no?
Ma credetemi se vi dico che per una serie di motivi e di equilibri molto personali NON POTEVO FARLO.
Credetemi e fatevelo bastare.

Pensavo fosse una roba da un paio di giorni, invece alla fine della fiera sono stati quattro (e anche molto impegnativi): l'intero sabato pomeriggio fino a sera per la preparazione del seggio e delle schede (mentre credevo che alla convocazione delle 16:00 bastasse solo presentarsi con i documenti per l'iscrizione agli atti, per poi andare via); quattordici ore la domenica; tredici il lunedi (perché chiuse le urne alle 15:00 noi siamo andati avanti fino a sera con lo spoglio di Camera e Senato); l'intero martedi pomeriggio fino a sera, per lo spoglio della Regione.

Insomma, io sabato 23 febbraio alle 16:00 mi sono recato al mio seggio con la voglia di fare lo scrutinatore pari allo zero e il morale sotto ai piedi. Piuttosto scazzato, direi. Mi aspettavo giorni terribili, in una scuola di borgata (di un Municipio che non è neanche il mio) dove mi sarei ritrovato in mezzo alla peggio coattaggine...
E INVECE NO!

E invece - nonostante sia stato oggettivamente faticoso (per qualcosa che non vale assolutamente i 170 euro che vedremo ad aprile) - è stata un'esperienza molto bella.
Di cui volevo scrivere un resoconto dettagliato, preso dall'entusiasmo del martedi sera, quando finalmente avevamo finito. Ma col passare dei giorni, mi sono poi reso conto che di un vero e proprio "resoconto" non fregherebbe niente a nessuno, a cominciare da me.
Perché l'esperienza molto bella è avvenuta grazie alle persone che ho incontrato.
Ed è di loro che voglio parlare, uno ad uno.
Ovviamente ometto il quartiere, la scuola e il numero di seggio, così come i loro cognomi.

Allora eccoli qui, i miei compagni di ventura...

C'è il Presidente, che chiameremo Walter. Geometra per il Comune di Roma. Uno che si vede subito che sa come gestire un seggio: amichevole, sufficientemente scafato (anche quando c'è da risolvere un intoppo o velocizzare una procedura*) e "intrallazzato" con la politica locale e territoriale: strette di mano, pacche sulla spalle, occhiolini di intesa e quant'altro. Da' spazio e tempo ai suoi collaboratori, è disponibile ed estremamente socievole. Ti parla delle sue passioni - che riguardino Gianni Morandi o il tartufo di Norcia - con sconcertante semplicità. Paraculo come piace a me, ma al contempo un pezzo di pane. Dichiaratamente di destra.
* "Eccola!!! Eccola qui la scheda che mancava"... si, come no? Eh eh eh ;)

C'è la sua segretaria, che chiameremo Roberta. Laureanda in Scienze dei Beni Culturali e insegnante di nuoto. Decisamente giovane e decisamente carina tanto da poter pensare che il mondo sia nelle sue mani (ma come biasimarla? Alla sua età pensavo anch'io la stesso cosa). Nei suoi modi di fare, nelle sue ambizioni, nella sua improbabile sicurezza sembra l'incarnazione della "Ragazza di Periferia" che cantava la Tatangelo, che a ventitre anni non crede più nell'amore perché la vita le ha già spezzato il cuore! Si dichiara imbattibile campionessa di Ruzzle, ma anche di tante altre cose. Il suo Tiramisù in effetti è da competizione. Allegra, estroversa, spigliatissima, decisamente brava - nonostante sia la sua prima volta - anche nello svolgere le mansioni di segreteria per il quale è stata chiamata da Walter. Orientativamente di destra (anche se secondo me ha le idee ancora molto confuse).

C'è la veterana, che chiameremo Rosita. Una pensionata di quelle che in realtà non vanno mai in pensione, perché se per tutta la vita hai fatto la casalinga facendoti un mazzo tanto per la tua famiglia e oggi - nonostante l'età che avanza - continui a farti lo stesso identico mazzo, in pratica il tuo "lavoro" non finisce mai! Ti parla come se ti conoscesse da una vita dei problemi di salute del marito, delle complicate storie d'amore dei figli, della sua nipotina che balla la danza classica, di come si sia trasferita di recente per stare più vicino alla progenie. Lei che viveva a Tor Tre Teste, e prima ancora a Centocelle. Lei che cucinava la trippa per centinaia di persone alle Feste dell'Unità. Compagna di altri tempi, pasoliniana, fiera e ancora lucidissima nei suoi credo e nei suoi valori. Una sorta di "nonna" per tutto il nostro seggio. Dichiaratemente di sinistra.

C'è lo scrutinatore su delega (come me) che chiameremo Mauro. Sposato e con due figli, tecnico specializzato, attualmente disoccupato. Una persona mite, piacevole, garbata, dai modi gentilissimi. Se c'è da chiacchierare lo fa volentieri. Altrimenti non è uno che spreca parole. Si mette lì sul registro ed è capace di farsi due/tre ore di fila senza staccare mai (non come certi che conosco io, che dopo un po' hanno bisogno di andare a fumare). Non l'ho inquadrato bene, Mauro. Secondo me la sa più lunga di quanto voglia far intendere. E' molto attento a ciò che dicono gli altri, uno che annota i riferimenti, le frasi, le coordinate. Che me lo fa pensare di mente fine, anche se è solo una mia supposizione, dato che lui non ostenta niente. Così come il suo orientamento politico: imperscrutabile.

C'è la scrutinatrice più giovane (che affianca molto bene Roberta in tutto il lavoro di segreteria) che chiameremo Tiziana. Maestra d'asilo, che poi ti corregge e ti dice che il suo ruolo è di educatrice. Una ragazza altrettanto gentile e piacevole, sveglia, ironica e spiritosa, che non esagera mai nei commenti o nelle battute. Una persona di quelle con cui puoi facilmente parlare di tutto (per quanto sia sia potuto parlare in quei quattro giorni), aperta di mente, colta… ed evidentemente anche lei un tantino "intrallazzata" come Walter con l'ottavo Municipio, visto che papà zia e non so chi altro sono tutti lì a scrutinare in quella stessa scuola!!! Orientativamente di sinistra.

Ora - chiuso questo capitolo - c'è una cosa che mi preme sottolineare (tanto più se ognuno di loro dovesse capitare qui sul mio blog): nonostante idee politiche differenti, nonostante retaggi culturali differenti, nonostante stili di vita in certi casi diametralmente opposti… beh, stare quattro giorni insieme a loro, per me è stata una grandissima esperienza umana. Molto formativa.
Sarebbe quasi limitante dire che ho avuto il piacere di incontrare cinque "belle persone".
La verità è che ognuno di loro - senza nemmeno saperlo - mi ha arricchito un po' di più.
E per questo non posso che ringraziarli.
Oltre ad aggiungere che sono stato FORTUNATO a capitare con Walter, Roberta, Rosita, Mauro e Tiziana anziché con altri, mentre - per dire - dai seggi accanto al nostro arrivavano le urla!
Senza considerare il grado di civiltà, sopportazione e tolleranza che hanno dimostrato nel rimanere chiusi per quattro giorni dentro la stessa stanza con un cagacazzi polemico e presuntuoso come me!!! :)

martedì 5 marzo 2013

Vola mio angelo, vola.

Succede che il Bot a Roma Comics & Games mi regala questo suo recente libro, che non ha mai raggiunto le librerie per non so quale motivo (nel senso non è stato mai distribuito) e che la sera stessa mi leggo.

Ora, non starò qui a recensirvelo, nè tantomeno a disquisire su tecniche sceneggiative, qualità di testi, disegni o lettering (e figuriamoci poi se entrerò nel merito di tante stupide e inutili polemiche relative alla Bottero Edizioni)…

Quello che realmente voglio fare con questo post sono i miei più disinteressati complimenti ai due autori - Fabrizio Capigatti e Federico Toffano - per il CORAGGIO dimostrato nel proporre una storia a fumetti del genere. Per il tema difficilissimo che hanno affrontato e le ambientazioni realistiche con cui hanno deciso di rappresentarlo. Per le atmosfere notturne che si respirano e che - forse proprio grazie all'uso del bianco/nero e delle sole matite? - rendono alla perfezione la strada bagnata, i fari delle automobili, le luci artificiali della provincia veneta.
Per la scelta - così "rischiosa" e anche così facilmente attaccabile - di entrare in certi percorsi oscuri della nostra mente. Quelli più pericolosamente equivocabili. Quelli dei nostri desideri più nascosti. Quelli che prima o poi ci sfiorano tutti, anche quando li rifiutiamo per paura di essi. O per ipocrisia. Quando rimaniamo davvero soli davanti a noi stessi, senza bisogno di dover recitare o bluffare con nessuno, atterriti dal silenzio delle nostre coscienze. Inevitabilmente sporche.

Raramente un fumetto mi turba.
Ne sono rimasto molto colpito. E stupito.
Quindi lo ripeto: complimenti, ragazzi!

domenica 27 gennaio 2013

Battle Chasers e giovincelli...

Succede che in una libreria trovo questo volume integrale di "Battle Chasers" (Edizioni BD) al 50% di sconto e me lo prendo. Vuoi per una sorta di affetto, perché questa serie di Joe Madureira la seguivo nel mensile Cliffhanger! della Magic Press in un periodo della mia vita - successivo a BIZ Hip Hop Magazine - in cui frequentavo ancora piuttosto spesso la loro redazione… che significava potersi prendere aggratise tutti i fumetti che si voleva ;)
E vuoi perché - a livello iconografico/emozionale (?) - sulle tette di Red Monika ci ha sognato un'intera generazione!

Il punto in effetti è proprio questo.
Che nel bene o nel male, con questo fumetto Madureira segnò davvero un'epoca.
Peraltro, ancor prima di accingermi a (ri)leggerlo avevo la sensazione di non averne mai letto la fine. Ora, non ricordo nemmeno se su quel mensile la Magic lo pubblicò tutto (o chiuse prima) ma di fatto un vero finale non c'è, perché anche questo integrale - che contiene proprio tutto tutto - resta un'opera incompiuta.

Fa comunque impressione pensare che Madurerira scrisse e disegnò questa saga semi-fantasy mezza steampunk nel 1998, cioè a 24 anni.
Ventiquattro anni, capite?

"Battle Chasers" non ha mai avuto grandi pretese letterarie. Anche a detta del suo autore, che non ambiva ad essere un novello Gaiman. Era un fumetto LEGGERO, di puro intrattenimento, che da questo punto di vista non tradiva nessuna aspettativa. Anzi, tutt'altro. Narrativamente parlando è assai piacevole: semplice, divertente, con tanti personaggi delineati in maniera nettissima nei loro ruoli di buoni e cattivi. Anche riletto oggi, scorre via tutto d'un fiato (ma ricordo che pure a fine anni '90 mi piaceva molto di più dei suoi comprimari dentro a Cliffhanger!, cioè "Dangerl girl" di J. Scott Campbell e "Crimson" di Humberto Ramos). E questo solo in termini narrativi.
Perché esteticamente parlando… beh, lasciamo perdere: manda ancora a casa - oggi, nel 2013 - due terzi delle cose che si fanno negli Usa!

Ma volevo tornare un momento sul discorso dell'età.
Perché troppo spesso, soprattutto qui da noi, si tende a considerare giovani e/o esordienti anche autori che già pubblicano da tempo e/o che hanno già abbondantemente dimostrato le proprie skills.
Spesso gli autori più affermati si rivolgono a loro con quell'aria smaliziata che gli fa dire "Sono ragazzi, devono ancora crescere" (e giù con termini come freschezza, giovinezza, ingenuità o entusiasmo) solo per intendere "Ragazzo mio, troppa acqua deve passare ancora sotto a 'sti ponti per raggiungere i miei livelli professionali"...
Perché in fondo questi TRENTENNI non sono che "esordienti di belle speranze", no?
Trentenni, si: troppo vecchi per essere ancora considerati adolescenti/esordienti, ma troppo giovani da poter già considerare autori professionisti a tutto tondo?
Trentenni BLOCCATI in un'età che, messa così, non sembra nè carne nè pesce.
Bloccati in un paradosso spaziotemporale.

Poi penso al fatto che Alan Moore scrisse "Watchmen" all'età di 33 anni (ma se è per questo anche "V for Vendetta" a 29); che Frank Miller scrisse e disegnò "Il ritorno del Cavaliere Oscuro" a 29 anni, ma - senza andare oltremare - anche che un Pazienza morì a 32 anni lasciandoci ciò che ci ha lasciato.
Si parla di capolavori indiscussi, è ovvio.
Non certo del "Battle Chasers" con cui si apriva questo post, che non possiamo considerare capolavoro.
Eppure la maggior parte degli autori adulti & affermati che conosco, proprio coloro che - forti della propria produzione, spesso nell'autoconvinzione che sia sempre di altissimo livello - dispensano consigli, giudizi o quant'altro a suddetti giovincelli… beh, ad oggi - superati i quaranta - un loro personale Battle Chasers non l'hanno ancora mai fatto!

Ma si fa solo per dire, eh?
Anche perché questo è solo un post "introduttivo" (?) a quello che seguirà.
Nel quale - guarda un po' - parleremo di Giacomo Bevilacqua.

lunedì 14 gennaio 2013

La fine di un'era.

Stavo navigando sul web alla ricerca di alcune news musicali per un pezzo che devo scrivere, quando - per puro caso - mi imbatto nella copertina di un album di Mary J. Blige che non ho!
Come è possibile?
Salta fouri che questo "My life II - The journey continues (Act 1)" (che fa riferimento al suo "My life" del 1994, un vero capolavoro) è il suo ultimo album, rilasciato a novembre del 2011. Così mi accorgo che ero rimasto a "Stronger with each tear" del 2009.
Allora faccio la stessa prova con R. Kelly, e trovo "Write me back" rilasciato a giugno del 2012, mentre io ero rimasto a "Love letter" del 2010.

Ora, tenete conto che ho la discografia completa di entrambi.
O meglio: credevo di averla.
Ma soprattutto tenete conto che Mary J. Blige e R. Kelly sono due artisti che per me rappresentano un'era, una grande stagione dell'R&B americano, oltre che un lunghissimo tratto della mia vita. Per tanti motivi professionali, ma anche e soprattutto per tanti motivi personali. Di sfera affettiva.

Quindi - al di là del fatto che i loro ultimi/penultimi album mi avevano abbastanza deluso (evidentemente quello che avevano da DIRE e da DARE l'hanno detto e dato) - mi ha fatto una strana impressione, questa cosa. Una sensazione di malinconia. Un sapore. Di qualcosa che è finito per sempre, che non tornerà mai più.
Non solo perchè nemmeno sapessi che erano usciti (questo rientrerebbe nelle mia normale routine sotto la voce "Perdo colpi")… ma proprio perché mi rendo conto - con un certo distacco - che non me ne può fregare di meno!!!

lunedì 7 gennaio 2013

Django Unchained.

Dunque, da dove cominciare?
Per esempio, dal dire che - nonostante non raggiunga certe raffinatezze di "Bastardi senza gloria" (sempre che si possa definire raffinata qualsiasi cosa lui diriga) - questo nuovo lungometraggio di Quentin Tarantino è semplicemente bello e potente?
Centosessanta minuti di puro Divertimento con la D maiuscola!
Che se già nel 2009 aveva scritto e diretto un-film-stilisticamente-tecnicamente-e-formalmente-perfetto, il regista originario del Tennessee sembra non porre freni - e limiti - al suo talento, superandosi (e sorprendendo) di volta in volta, riuscendo a perfezionare la sua stessa perfezione stilistica, tecnica e formale?

Oppure che - nonostante il titolo, la campagna che gli è stata fatta, il cameo di Franco Nero, l'ammiccare al cinema di genere, e nonostante gran parte delle musiche scelte per la colonna sonora (su cui torniamo dopo) - "Django Unchained" NON E' UNO SPAGHETTI WESTERN?
I comunicati stampa, i quotidiani e i telegiornali che in questi giorni ne stanno parlando ampiamente per via della presenza del regista e del cast qui a Roma (utilizzando a mo' di copia & incolla quegli stessi comunicati stampa, senza mai un minimo di approfondimento), continuano ottusamente a definirlo tale, ma  - ribadiamolo! - non è uno spaghetti western!

Troppo southern comfort per esserlo.
Ah, no... quello è un whiskey!
Troppo impregnato di Stati Uniti del Sud pre-guerra di Secessione per esserlo.
Uno spaghetti western classico, avrebbe avuto pistoleri cattivissimi, proprietari terrieri che terrorizzano piccole cittadine sperdute del Nevada con i loro sceriffi inadeguati, i loro saloon, i loro bordelli, lo straniero bello e tenebroso che giunge da fuori per fare sommaria giustizia e via con tutti i clichè del caso (che poi, a dirla tutta, nella prima parte del film qualcosa di questo tipo c'è).
E quando in giro non c'erano pellerossa da massacrare, al massimo potevano sfornare un esercito messicano - sempre cattivissimo! - come nemico. Ma non si sarebbero mai svolti all'interno di una piantagione di cotone del Mississippi, non avrebbero mai affrontato tanto apertamente un tema sociale/politico serio e PESANTE come la schiavitù.
Argomento che tutt'oggi mette ancora in imbarazzo l'americano medio, come una vergogna mai cancellata, della quale - per quieto vivere o ipocrisia - è sempre preferibile non parlare.

Ecco. Come ho già avuto modo di scrivere altrove, ci sarà sicuramente qualcuno che proverà ad intortarvela dicendovi  - attraverso un abile uso dei suoi strumenti critici - che "Django Unchained" è un brutto film di Tarantino, ma voi non dategli retta perchè saranno solo sciocchi esercizi di stile, tipici di un certo tipo di giornalismo snob, del recensore che vuol tentare di superare colui che sta recensendo.
Così come proveranno a dirvi che il cinema western - o anche lo stesso Tarantino - non dovrebbe mai affrontare temi sociali o politici, ma limitarsi (per modo di dire) a produrre intrattenimento, con azione, sangue a fiotti, dialoghi brillanti, musiche da brivido, movimenti macchina magistrali e via dicendo.

NO.

Tarantino, oltre a mettere tutto ciò dentro al suo film, parla dello schiavismo americano come nessuno aveva mai fatto prima di lui, sbatte questa pagina vergognosa della Storia in faccia agli Stati Uniti (di fatto, anche in faccia al resto del mondo) e lo fa a modo suo, con una violenza ai limiti dello splatter, con un'ironia spesso cinica, e - perchè no? - anche con una certa dose di presunzione!
Sottile poi come l'unico possibile spiraglio di "amicizia" tra un bianco ed un nero (anche se per due ore e quaranta sentirete ripetere negro centinaia di volte) avvenga attraverso la volontà di un uomo tedesco, non americano. Una sottiglezza che potrebbe passare inosservata, e che invece è una provocazione fortissima.

Bene. Ora parliamo del film o no?
Django è uno schiavo nero (interpretato da un granitico Jamie Foxx) che viene liberato dal Dr. King Schultz, un cacciatore di taglie tedesco che se ne va in giro "travestito" da dentista (grazie alla SUPERBA prova d'attore di Christoph Waltz), che in fondo è il VERO protagonista del film. Se Waltz vi aveva già lasciato a bocca aperta interpretando il Colonnello delle SS Hans Landa in "Bastardi senza gloria", apettate di vederlo in questa occasione, tantopiù se aveste la possibilità di seguire il film in lingua originale (la sua parlantina e il suo inglese forbito sono sensazionali, snocciolati di fronte ai villici del Sud e alla loro ignoranza).
Ad ogni modo, il buon Dottore non libera subito Django. Prima lo fa lavorare per lui, trasformandolo in un killer con la promessa di renderlo un freeman. E' in questo lasso di tempo (un inverno) che nasce/cresce il rapporto tra loro, divenendo umano. Anche se Django è tutto meno che "umano": nella sua sete di vendetta, nella sua cieca ricerca della moglie, diventerà più spietato dei suoi avversari, senza concedere alcuna pietà a nessuno, nemmeno se si tratta di fratelli neri!
Il suo unico fine è riprendersi Broomhilda (l'attrice Kerry Washington, ancor più bella a Roma in eleganti abiti civili e frangetta) che curiosamente parla tedesco, un escamotage narrativo che servirà ai nostri due per ideare il loro improbabile piano di liberazione, oltre che accostarla al mito norreno secondo il quale lei può essere Brunilde e Django il suo eroico Sigfrido.

E poi?
• In realtà non voglio svelarvi altro sulla trama...
E poi c'è Don Johnson, mio personale eroe giovanile! Don Johnson in gran rispolvero, davvero in forma. Narrano le leggende che anche lo stesso Jamie Foxx (che non dimentichiamoci aver interpretato il detective Ricardo Tubbs nel "Miami Vice" di Michael Mann del 2006) quando lo ha incontrato per la prima volta sul set, gli abbia gridato estasiato: "Tu sei il vero Sonny Crockett!!!"
Ad ogni modo, qui veste i panni del proprietario terriero Spencer Gordon Bennet detto Big Daddy. Ed è perfetto - nel look, nei modi, nella parlata - essendo egli stesso un vero uomo del Sud (è di Flat Creek, nel Missouri). Senza considerare che è il protagonista di una delle scene più divertenti di tutto il film, che riguarda i cappucci del Ku Klux Klan. Ma non ve la racconto, troppo spassosa per non godervela con i vostri occhi.

C'è anche l'immenso Walton Goggins (che era il detective Shane Vendrell in "The Shield") in una parte secondaria, ma vabbè...
Passiamo ai cosiddetti pezzi grossi: Samuel L. Jackson e Leonardo Di Caprio.

Jackson intepreta lo schiavo Stephen, invecchiato e (quasi) irriconoscibile. Sempre e comunque un fuoriclasse. Stephen è il vero bastardo (senza alcuna gloria) di tutta la pellicola, non c'è storia! Rappresenta proprio il lato più INFAME dello schiavismo, cioè quello degli "schiavi di casa" che spesso - per opportunismo e sopravvivenza - diventavano più razzisti e crudeli con gli altri neri di quanto non lo fossero gli stessi padroni bianchi.
In questo caso, il rapporto che lo lega al suo padrone - Di Caprio - è subdolo e affascinante: sempre servile e piegato a novanta quando è in sua presenza di fronte agli altri, ma - notatelo - nella scena in cui rimangono da soli nello studio, il padrone sembra essere lui! Non è più piegato (anche fisicamente, nella recitazione), beve whiskey con eleganza, imbecca Monsieur Candle, gli suggerisce il da farsi. Proprio come fa un adulto con un bambino. Notevole.

Di Caprio sarebbe il cattivone del film, anche se sia Django che Stephen sono più cattivi di lui! Interpreta Calvin Candle, ereditiero della più grande piantagione di cotone del Mississippi, denominata Candyland, dove vive con la sorella (un "manichino imbellettato" con cui il regista estremizza tutti gli stereotipi sulle famose donne del Sud, i fiori d'acciaio). Non ho mai amato particolarmente Di Caprio, ma nelle mani di Tarantino eccelle anche lui, come Brad Pitt in "Bastardi senza gloria".
E' un padrone/schiavista ricco, capriccioso e annoiato (piuttosto che dedicarsi a Candyland - gestita da Stephen - preferisce divertirsi con le lotte tra Mandingo) che risulta ridicolo, con il suo pallino per la Francia senza però conoscere una sola parola di francese, e infatti "Alexandre Dumas era negro!"... ma Candle ritiene i negri biologicamente inferiori giustificando questa atrocità con la teoria scientifica della frenologia (?) pur accompagnandosi - nel suo privato - con una ragazza meravigliosamente bella che, guarda un po'... è nera!

Ed è tutto, sul film.
Dicono che, secondo le intenzioni di Tarantino, "Django Unchained" rappresenti il secondo capitolo di una ideale trilogia della vendetta (?) cominciata con "Bastardi senza gloria", basata sul revisionismo storico. Lì si ipotizzava l'assassinio di Hitler ben prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, che non è mai avvenuto. Qui si affronta lo schiavismo, con una presa di coscienza ed una "rivincita afroamericana" che non ha mai avuto luogo. Sembra che la prossima pellicola (che certe voci dicono intitolarsi "Killer Crow") sia incentrata su uno squadrone composto esclusivamente da soldati neri, impegnati a combattere nella Francia del 1944, subito dopo lo sbarco in Normandia. Quindi ancora la Seconda Guerra Mondiale, e ancora la questione razziale.
Un file rouge che potrebbe unire concettualmente i tre film.
Staremo a vedere.
Ora però parliamo della colonna sonora.



Dirvi che me la sono scaricata la sera stessa in cui sono tornato dal cinema credo sia piuttosto indicativo. Personalmente, la trovo forse la più bella colonna sonora "inventata" da Tarantino fino ad oggi, nonostante le sue siano tutte molto curate (nella selezione dei brani) e quindi molto belle. Rispetto alle precedenti, questa contiene molti più pezzi originali, scritti appositamente per il film. Ma non mancano certo le ottime selezioni, un marchio di fabbrica.
A cominciare da tutte quelle musiche "rubate" dalle colonne sonore di ALTRI western, perché - come accennavo all'inizio del pezzo - è proprio il commento sonoro del film ad essere il più grande omaggio al genere spaghetti.
"Django Unchained" si apre sin dalla sigla con il celebre pezzo di Luis Bacalov e Rocky Roberts (!) composto proprio per il "Django" di Sergio Corbucci del 1966, e si chiude nei titoli di coda con "Trinity" di Annibale e i Cantori Moderni* (da "Lo chiamavano Trinità" di Enzo Barboni, 1970).
* A voler essere proprio precisetti, il tema del famoso film con Bud Spencer e Terence Hill è stato scritto e composto dal maestro Franco Micalizzi (che generalmente componeva colonne sonore per i poliziotteschi) e solamente fischiettato/cantato da Alessandro Alessandroni, vero nome di Annibale e del suo gruppo vocale, cioè i Cantori Moderni, nelle cui fila peraltro cantava - da soprano - anche quella stessa Edda Dell'Orso che compare in un'altra traccia di questa stessa colonna sonora!

Nel mezzo - tra le altre - "I giorni dell'ira" di Riz Ortolani tratta dall'omonimo film di Tonino Valerii del 1967 (curioso che anche Nicolas Winding Refn nel suo recente "Drive" abbia ripescato il maestro Ortolani) o ancora Bacalov - con Edda Dell'Orso - in "His name is King" ("Lo chiamavano King" di Giancarlo Romitelli, 1971).
Ma non solo western, perché per esempio c'è anche "Nicaragua" di un altro veterano delle colonne sonore cinematografiche come Jerry Goldsmith - qui con Pat Metheney (!) - tratta da "Sotto tiro", bellissimo film del 1983 interpretato da Nick Nolte e diretto da Roger Spottiswoode.

Sul fronte dei brani inediti, fa quasi impressione - soprattutto se si sta seguendo il film in lingua originale - sentire all'improvviso la voce di Elisa che canta (in italiano) "Ancora qui" sulle note scritte dall'immancabile Ennio Morricone.
• Ho già sentito criticarla, mentre io la trovo tanto struggente quanto azzeccata.
Morricone firma anche "The braying mule""Sister Sara's Theme" e "Un monumento".

Comunque fa un certo effetto vedere così tanti artisti italiani presenti nella tracklist di una colonna sonora di un film che è pur sempre un kolossal americano, non è vero?

Ma per un amante della musica nera come il sottoscritto - e considerando che il film parla proprio di un capitolo fondamentale della Storia afroamericana - le vere chicche arrivano con il duetto virtuale tra James Brown (!) e Tupac Shakur (!!!) in "Unchained", da John Legend con "Who did that to you?", da RZA (che già aveva collaborato con Tarantino in "Kill Bill") con "Ode to Django", da Anthony Hamilton ed Elayna Boynton con la graffiante "Freedom", da Rick Ross con "100 black coffins" che - oltre alle liriche di Tupac - porta l'impeto del rap all'interno di un western. Senza stonare mai. Ma, anzi, funzionado alla perfezione!
• Uhm, forse però qualcuno lo aveva già fatto. Qualcuno come Mario Van Peebles nel suo "Posse - La leggenda di Jessie Lee" del 1993, dove la commistione tra rap e black-western era già stata tentata. Senza molto successo. Nè del film. Nè tantomeno della sua colonna sonora. Anche se a me "Posse, shoot 'em up" piaceva un casino!

venerdì 4 gennaio 2013

Girl on fire.

Alicia Keys: "Girl on fire"
(RCA/Sony Music).

Non cattura al primo ascolto il nuovo album di Alicia Keys.
Non come i suoi primi quattro, di cui ti innamoravi subito.
Lo avevo capito già dal lancio radiofonico del primo singolo, quel "Girl on fire" che titola anche l'intero disco, e che nonostante i ripetuti ascolti - nel vano tentativo di farmelo piacere a tutti i costi! - e nonostante la sua Inferno Version contenuta nel CD (con il featuring di Nicki Minaj che sembra esistere solo per fare inutili featuring, come Pitbull) continua a non convincermi, a non prendermi.
Eppure, saltando a più pari questo brano, cose buone ce ne sono eccome!

A cominciare dalla traccia di apertura - "De Novo Adagio" - con cui Alicia, come da tradizione, ci introduce seduta al suo pianoforte.
Seguita da "Brand new me", quasi un manifesto con cui si (ri)presenta al pubblico: una nuova Alicia Keys non solo nel taglio dei suoi capelli e nel suo essere donna/mamma, ma anche e soprattutto nel suono e nelle intenzioni: "E’ passato un po’ di tempo, io non sono più chi ero prima / Tu sembri sorpreso, le tue parole non mi bruciano più / Avevo intenzione di dirtelo ma penso sia facile da capire / Non essere arrabbiato, è soltanto il marchio della nuova me / Non essere cattivo, ho solo trovato il marchio della libertà"… "Bisogna intraprendere una lungo percorso per arrivare qui / Bisogna avere coraggio, e una ragazza coraggiosa ci prova / Bisogna inventare una scusa in più, e dire un bugia in più / Non essere sorpreso"…

Infatti alla terza traccia si decolla.

Se con un termine come rock progressivo intendiamo un determinato genere di rock anni '70 caratterizzato da grandi profusioni di tastiere, sintetizzatori psichedelici e batterie sincopate, per questa "When it's all over" bisognerebbe allora inventare un nuovo termine - progressive R&B? - perché la Keys (con la complicità di Jamie Smith) si lancia in una vera e propria sperimentazione sonora che lì per lì ti spiazza, ma più la si ascolta e più funziona. Davvero un grande pezzo, anche nella performance vocale. Che si apre ad un'unica concessione di dolcezza solo nel finale, con la voce di Alicia che parla con suo figlio Egypt (avuto nel 2010 dal marito Swizz Beatz, che peraltro nel disco produce la non memorabile "New day"). Certamente uno dei due momenti migliori dell'album.

L'altro, il secondo, è dato dal duetto con l'immenso Maxwell su "Fire we make", una down-tempo meravigliosa che ci proietta come per magia nelle atmosfere dei migliori dischi di metà anni '90, cioè lo stato di grazia dell'R&B americano (prima che si annacquasse realmente con il pop), quando durante/dopo l'ascolto di certi album nascevano bambini, come dice Irene.
Pezzo di grande eleganza ed intensità, insomma.
Che poi, leggendo le firme dell'intera tracklist, compaiono anche un paio di quelle vecchie volpi (geniali) della produzione anni '90, cioè Rodney "Darkchild" Jerkins per "Listen to your heart" e Kenny "Babyface" Edmonds per "That's when I knew". Non sarà propriamente un caso, no? Comunque sono entrambe assai romantiche.

Stupisce casomai di più la firma di Bruno Mars tra gli autori di "Tears always win", perché - per come conosco Mars - non mi sarei certo aspettato un pezzo così classicamente retrò, di sapore così sixties, quando la black music era davvero pregna di soul!
Notevole inoltre la presenza - da autrice - della giovane Emeli Sandè su ben tre pezzi, cioè la già citata "Brand new me" oltre a "Not even the King" (una ballad molto riuscita) e "101", l'ultima traccia del disco. Che oltretutto al minuto 4:29 nasconde anche una breve ghost track: un'Alleluja probabilmente superflua, ma non per questo meno suggestiva.

Non cattura al primo ascolto il nuovo album di Alicia Keys.
Ma è ugualmente molto bello: concedetevelo!