lunedì 7 gennaio 2013

Django Unchained.

Dunque, da dove cominciare?
Per esempio, dal dire che - nonostante non raggiunga certe raffinatezze di "Bastardi senza gloria" (sempre che si possa definire raffinata qualsiasi cosa lui diriga) - questo nuovo lungometraggio di Quentin Tarantino è semplicemente bello e potente?
Centosessanta minuti di puro Divertimento con la D maiuscola!
Che se già nel 2009 aveva scritto e diretto un-film-stilisticamente-tecnicamente-e-formalmente-perfetto, il regista originario del Tennessee sembra non porre freni - e limiti - al suo talento, superandosi (e sorprendendo) di volta in volta, riuscendo a perfezionare la sua stessa perfezione stilistica, tecnica e formale?

Oppure che - nonostante il titolo, la campagna che gli è stata fatta, il cameo di Franco Nero, l'ammiccare al cinema di genere, e nonostante gran parte delle musiche scelte per la colonna sonora (su cui torniamo dopo) - "Django Unchained" NON E' UNO SPAGHETTI WESTERN?
I comunicati stampa, i quotidiani e i telegiornali che in questi giorni ne stanno parlando ampiamente per via della presenza del regista e del cast qui a Roma (utilizzando a mo' di copia & incolla quegli stessi comunicati stampa, senza mai un minimo di approfondimento), continuano ottusamente a definirlo tale, ma  - ribadiamolo! - non è uno spaghetti western!

Troppo southern comfort per esserlo.
Ah, no... quello è un whiskey!
Troppo impregnato di Stati Uniti del Sud pre-guerra di Secessione per esserlo.
Uno spaghetti western classico, avrebbe avuto pistoleri cattivissimi, proprietari terrieri che terrorizzano piccole cittadine sperdute del Nevada con i loro sceriffi inadeguati, i loro saloon, i loro bordelli, lo straniero bello e tenebroso che giunge da fuori per fare sommaria giustizia e via con tutti i clichè del caso (che poi, a dirla tutta, nella prima parte del film qualcosa di questo tipo c'è).
E quando in giro non c'erano pellerossa da massacrare, al massimo potevano sfornare un esercito messicano - sempre cattivissimo! - come nemico. Ma non si sarebbero mai svolti all'interno di una piantagione di cotone del Mississippi, non avrebbero mai affrontato tanto apertamente un tema sociale/politico serio e PESANTE come la schiavitù.
Argomento che tutt'oggi mette ancora in imbarazzo l'americano medio, come una vergogna mai cancellata, della quale - per quieto vivere o ipocrisia - è sempre preferibile non parlare.

Ecco. Come ho già avuto modo di scrivere altrove, ci sarà sicuramente qualcuno che proverà ad intortarvela dicendovi  - attraverso un abile uso dei suoi strumenti critici - che "Django Unchained" è un brutto film di Tarantino, ma voi non dategli retta perchè saranno solo sciocchi esercizi di stile, tipici di un certo tipo di giornalismo snob, del recensore che vuol tentare di superare colui che sta recensendo.
Così come proveranno a dirvi che il cinema western - o anche lo stesso Tarantino - non dovrebbe mai affrontare temi sociali o politici, ma limitarsi (per modo di dire) a produrre intrattenimento, con azione, sangue a fiotti, dialoghi brillanti, musiche da brivido, movimenti macchina magistrali e via dicendo.

NO.

Tarantino, oltre a mettere tutto ciò dentro al suo film, parla dello schiavismo americano come nessuno aveva mai fatto prima di lui, sbatte questa pagina vergognosa della Storia in faccia agli Stati Uniti (di fatto, anche in faccia al resto del mondo) e lo fa a modo suo, con una violenza ai limiti dello splatter, con un'ironia spesso cinica, e - perchè no? - anche con una certa dose di presunzione!
Sottile poi come l'unico possibile spiraglio di "amicizia" tra un bianco ed un nero (anche se per due ore e quaranta sentirete ripetere negro centinaia di volte) avvenga attraverso la volontà di un uomo tedesco, non americano. Una sottiglezza che potrebbe passare inosservata, e che invece è una provocazione fortissima.

Bene. Ora parliamo del film o no?
Django è uno schiavo nero (interpretato da un granitico Jamie Foxx) che viene liberato dal Dr. King Schultz, un cacciatore di taglie tedesco che se ne va in giro "travestito" da dentista (grazie alla SUPERBA prova d'attore di Christoph Waltz), che in fondo è il VERO protagonista del film. Se Waltz vi aveva già lasciato a bocca aperta interpretando il Colonnello delle SS Hans Landa in "Bastardi senza gloria", apettate di vederlo in questa occasione, tantopiù se aveste la possibilità di seguire il film in lingua originale (la sua parlantina e il suo inglese forbito sono sensazionali, snocciolati di fronte ai villici del Sud e alla loro ignoranza).
Ad ogni modo, il buon Dottore non libera subito Django. Prima lo fa lavorare per lui, trasformandolo in un killer con la promessa di renderlo un freeman. E' in questo lasso di tempo (un inverno) che nasce/cresce il rapporto tra loro, divenendo umano. Anche se Django è tutto meno che "umano": nella sua sete di vendetta, nella sua cieca ricerca della moglie, diventerà più spietato dei suoi avversari, senza concedere alcuna pietà a nessuno, nemmeno se si tratta di fratelli neri!
Il suo unico fine è riprendersi Broomhilda (l'attrice Kerry Washington, ancor più bella a Roma in eleganti abiti civili e frangetta) che curiosamente parla tedesco, un escamotage narrativo che servirà ai nostri due per ideare il loro improbabile piano di liberazione, oltre che accostarla al mito norreno secondo il quale lei può essere Brunilde e Django il suo eroico Sigfrido.

E poi?
• In realtà non voglio svelarvi altro sulla trama...
E poi c'è Don Johnson, mio personale eroe giovanile! Don Johnson in gran rispolvero, davvero in forma. Narrano le leggende che anche lo stesso Jamie Foxx (che non dimentichiamoci aver interpretato il detective Ricardo Tubbs nel "Miami Vice" di Michael Mann del 2006) quando lo ha incontrato per la prima volta sul set, gli abbia gridato estasiato: "Tu sei il vero Sonny Crockett!!!"
Ad ogni modo, qui veste i panni del proprietario terriero Spencer Gordon Bennet detto Big Daddy. Ed è perfetto - nel look, nei modi, nella parlata - essendo egli stesso un vero uomo del Sud (è di Flat Creek, nel Missouri). Senza considerare che è il protagonista di una delle scene più divertenti di tutto il film, che riguarda i cappucci del Ku Klux Klan. Ma non ve la racconto, troppo spassosa per non godervela con i vostri occhi.

C'è anche l'immenso Walton Goggins (che era il detective Shane Vendrell in "The Shield") in una parte secondaria, ma vabbè...
Passiamo ai cosiddetti pezzi grossi: Samuel L. Jackson e Leonardo Di Caprio.

Jackson intepreta lo schiavo Stephen, invecchiato e (quasi) irriconoscibile. Sempre e comunque un fuoriclasse. Stephen è il vero bastardo (senza alcuna gloria) di tutta la pellicola, non c'è storia! Rappresenta proprio il lato più INFAME dello schiavismo, cioè quello degli "schiavi di casa" che spesso - per opportunismo e sopravvivenza - diventavano più razzisti e crudeli con gli altri neri di quanto non lo fossero gli stessi padroni bianchi.
In questo caso, il rapporto che lo lega al suo padrone - Di Caprio - è subdolo e affascinante: sempre servile e piegato a novanta quando è in sua presenza di fronte agli altri, ma - notatelo - nella scena in cui rimangono da soli nello studio, il padrone sembra essere lui! Non è più piegato (anche fisicamente, nella recitazione), beve whiskey con eleganza, imbecca Monsieur Candle, gli suggerisce il da farsi. Proprio come fa un adulto con un bambino. Notevole.

Di Caprio sarebbe il cattivone del film, anche se sia Django che Stephen sono più cattivi di lui! Interpreta Calvin Candle, ereditiero della più grande piantagione di cotone del Mississippi, denominata Candyland, dove vive con la sorella (un "manichino imbellettato" con cui il regista estremizza tutti gli stereotipi sulle famose donne del Sud, i fiori d'acciaio). Non ho mai amato particolarmente Di Caprio, ma nelle mani di Tarantino eccelle anche lui, come Brad Pitt in "Bastardi senza gloria".
E' un padrone/schiavista ricco, capriccioso e annoiato (piuttosto che dedicarsi a Candyland - gestita da Stephen - preferisce divertirsi con le lotte tra Mandingo) che risulta ridicolo, con il suo pallino per la Francia senza però conoscere una sola parola di francese, e infatti "Alexandre Dumas era negro!"... ma Candle ritiene i negri biologicamente inferiori giustificando questa atrocità con la teoria scientifica della frenologia (?) pur accompagnandosi - nel suo privato - con una ragazza meravigliosamente bella che, guarda un po'... è nera!

Ed è tutto, sul film.
Dicono che, secondo le intenzioni di Tarantino, "Django Unchained" rappresenti il secondo capitolo di una ideale trilogia della vendetta (?) cominciata con "Bastardi senza gloria", basata sul revisionismo storico. Lì si ipotizzava l'assassinio di Hitler ben prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, che non è mai avvenuto. Qui si affronta lo schiavismo, con una presa di coscienza ed una "rivincita afroamericana" che non ha mai avuto luogo. Sembra che la prossima pellicola (che certe voci dicono intitolarsi "Killer Crow") sia incentrata su uno squadrone composto esclusivamente da soldati neri, impegnati a combattere nella Francia del 1944, subito dopo lo sbarco in Normandia. Quindi ancora la Seconda Guerra Mondiale, e ancora la questione razziale.
Un file rouge che potrebbe unire concettualmente i tre film.
Staremo a vedere.
Ora però parliamo della colonna sonora.



Dirvi che me la sono scaricata la sera stessa in cui sono tornato dal cinema credo sia piuttosto indicativo. Personalmente, la trovo forse la più bella colonna sonora "inventata" da Tarantino fino ad oggi, nonostante le sue siano tutte molto curate (nella selezione dei brani) e quindi molto belle. Rispetto alle precedenti, questa contiene molti più pezzi originali, scritti appositamente per il film. Ma non mancano certo le ottime selezioni, un marchio di fabbrica.
A cominciare da tutte quelle musiche "rubate" dalle colonne sonore di ALTRI western, perché - come accennavo all'inizio del pezzo - è proprio il commento sonoro del film ad essere il più grande omaggio al genere spaghetti.
"Django Unchained" si apre sin dalla sigla con il celebre pezzo di Luis Bacalov e Rocky Roberts (!) composto proprio per il "Django" di Sergio Corbucci del 1966, e si chiude nei titoli di coda con "Trinity" di Annibale e i Cantori Moderni* (da "Lo chiamavano Trinità" di Enzo Barboni, 1970).
* A voler essere proprio precisetti, il tema del famoso film con Bud Spencer e Terence Hill è stato scritto e composto dal maestro Franco Micalizzi (che generalmente componeva colonne sonore per i poliziotteschi) e solamente fischiettato/cantato da Alessandro Alessandroni, vero nome di Annibale e del suo gruppo vocale, cioè i Cantori Moderni, nelle cui fila peraltro cantava - da soprano - anche quella stessa Edda Dell'Orso che compare in un'altra traccia di questa stessa colonna sonora!

Nel mezzo - tra le altre - "I giorni dell'ira" di Riz Ortolani tratta dall'omonimo film di Tonino Valerii del 1967 (curioso che anche Nicolas Winding Refn nel suo recente "Drive" abbia ripescato il maestro Ortolani) o ancora Bacalov - con Edda Dell'Orso - in "His name is King" ("Lo chiamavano King" di Giancarlo Romitelli, 1971).
Ma non solo western, perché per esempio c'è anche "Nicaragua" di un altro veterano delle colonne sonore cinematografiche come Jerry Goldsmith - qui con Pat Metheney (!) - tratta da "Sotto tiro", bellissimo film del 1983 interpretato da Nick Nolte e diretto da Roger Spottiswoode.

Sul fronte dei brani inediti, fa quasi impressione - soprattutto se si sta seguendo il film in lingua originale - sentire all'improvviso la voce di Elisa che canta (in italiano) "Ancora qui" sulle note scritte dall'immancabile Ennio Morricone.
• Ho già sentito criticarla, mentre io la trovo tanto struggente quanto azzeccata.
Morricone firma anche "The braying mule""Sister Sara's Theme" e "Un monumento".

Comunque fa un certo effetto vedere così tanti artisti italiani presenti nella tracklist di una colonna sonora di un film che è pur sempre un kolossal americano, non è vero?

Ma per un amante della musica nera come il sottoscritto - e considerando che il film parla proprio di un capitolo fondamentale della Storia afroamericana - le vere chicche arrivano con il duetto virtuale tra James Brown (!) e Tupac Shakur (!!!) in "Unchained", da John Legend con "Who did that to you?", da RZA (che già aveva collaborato con Tarantino in "Kill Bill") con "Ode to Django", da Anthony Hamilton ed Elayna Boynton con la graffiante "Freedom", da Rick Ross con "100 black coffins" che - oltre alle liriche di Tupac - porta l'impeto del rap all'interno di un western. Senza stonare mai. Ma, anzi, funzionado alla perfezione!
• Uhm, forse però qualcuno lo aveva già fatto. Qualcuno come Mario Van Peebles nel suo "Posse - La leggenda di Jessie Lee" del 1993, dove la commistione tra rap e black-western era già stata tentata. Senza molto successo. Nè del film. Nè tantomeno della sua colonna sonora. Anche se a me "Posse, shoot 'em up" piaceva un casino!

1 commento:

Anonimo ha detto...

Una vera e propria serenata al film. :P
Se, d'amante di Tarantino, posso definirlo l'ennesimo filmone, per correttezza nei confronti di me stesso devo dire che la parte finale del film credo sia tutta da rifare. Ad un certo punto, non sembra più Tarantino. Diventa buono, ma, attenzione, non mi riferisco al semplice finale con Foxx e moglie che vincono, sticazzi! Parlo della sceneggiatura che si rammollisce cercando di trasmettere dei messaggi in modo così debole da stonare con tutto il resto.
Inglorious Basterds è riuscito decisamente meglio.